Questa società che sopprime la distanza geografica, raccoglie la distanza nel suo intimo, in quanto separazione spettacolare.
(Guy Debord, La società dello spettacolo)


Laboratorio sulla separazione dello spazio
Milano – 14 novembre 2015 h 10-18
Frigoriferi Milanesi – Via Piranesi, 10

Una riflessione di Doc(k)s nell’ambito dell’organizzazione della fiera “Bellissima 2016”,  Milano – 18/20 marzo Palazzo Del Ghiaccio

Come costruire un evento culturale secondo la logica della cooperazione?

Lo strumento oggi più in uso in ambito la promozione della cultura, in tutte le sue declinazioni, è quello dell’evento. Di “eventi” sono affollate le agende degli operatori del cinema, dell’editoria, dell’arte (dalla pittura alla street art) della moda e del design, del cibo perfino.

Ma gli appuntamenti affollano oggi non solo le agende degli operatori, e non solo le agende “fisiche”: Google ha integrato nella sua ricerca automatica una selezione di eventi geolocalizzati rispetto a delle parole-chiave geografiche; su Facebook l’evento è da tempo una delle principali forme di interazione tra utenti (e sono moltissimi i “falsi eventi” puramente virtuali che lanciano parole d’ordine comunitarie o prodotti); d’altra parte, i siti web e le applicazioni che aggregano eventi sono sempre più diffusi in rete e figurano tra le piattaforme meglio integrate con il meccanismo della pubblicità.

Tutto porterebbe a dire che la nostra vita è scandita da eventi, più o meno significativi, e da intenzioni o possibilità di “parteciparvi”.

In ambito culturale, la quantità di manifestazioni a carattere pubblico (e pubblicitario) si fa chiamare con varie definizioni: festival, fiera e fair, salone, festa, party e affini. Le distinzioni concettuali e materiali tra i diversi termini, tuttavia, sono sempre meno percepibili.

Per venire a capo di questa molteplicità, la domanda da porsi è: che cos’è un evento? Le più note definizioni filosofiche date al termine (evento, évènement, Ereignis) parlano di due caratteristiche essenziali: l’incontro, da un lato, e l’apparire come fenomeno, il darsi o avvenire dell’evento, dall’altro.

La nostra esperienza empirica degli eventi, invece, ha a che fare con lo spazio, con separazioni (transenne, vestiboli, cancellate, aree parcheggio, requisiti di accesso, dress code), flussi discorsivi o visuali, comunicazione (pubblicità, informazione) e, soprattutto, di economia (dall’oikos del tavolo dei relatori, o “panel”, al biglietto di ingresso).

Entrambi questi approcci all’evento precipitano in un unico concetto, tuttavia: quello della forma. La forma dell’evento è la sintesi della sua essenza, e allo stesso tempo è sempre questione di logica, di spazio, di modalità di racconto e, perciò, anche già questione di economia.

Perciò la domanda da porsi diventa piuttosto: che forma ha l’evento? E, nello specifico, l’evento culturale?

La forma che vediamo assumere, oggi, agli eventi culturali dipende da un rapporto molto preciso con lo spazio-tempo e con i suoi soggetti. In altri termini, la forma-evento è da indagare sotto l’aspetto del territorio e del pubblico.

Esiste qualcosa come un “rapporto standard” tra territorio e pubblico negli eventi culturali contemporanei? E, se sì, come crediamo, quali sono le sue caratteristiche?

I principali e i più consueti eventi culturali oggi, quanto alla loro forma, sembrano riprodurre esattamente quel meccanismo di “separazione”, di “inversione” e sussunzione della realtà che denunciava Guy Debord. Le chiavi di volta di questo processo sono la spettacolarizzazione, la costruzione di contenuti attorno a nomi e volti “massmediatici”, la neutralizzazione della critica attraverso “panel” chiusi ed ecumenici (dove si è già tutti d’accordo) e attraverso un dispositivo giornalismo embedded che li promuove acriticamente. La separazione netta, infine, e l’incomunicabilità tra il “pubblico” pagante e gli attori del jetset culturale.

Ma, soprattutto, una singolare caratteristica di “incomunicabilità”. Tra loro gli eventi non parlano, anche quando parlano della stessa cosa o si tengono nello stessa città. Detto in altri termini, è difficile far procedere le relazioni proprie che un evento instaura fuori dal circolo spazio-temporale in cui esso avviene. È una caratteristica, questa, che espone tutti questi eventi al rischio della contingenza e dell’effimero.

Si potrebbe forse azzardare l’ipotesi che sia questa l’economia neoliberale dell’evento? E che esista la possibilità di pensarne un’altra?

L’obiettivo di Doc(k)s è calare queste analisi sulla forma-evento nella contingenza concreta dell’organizzazione di un evento specifico: Bellissima 2016, che si terrà a Milano tra il 18 e il 20 marzo del 2016, al Palazzo del Ghiaccio. Bellissima, infatti, è stato concepito come tentativo di rimescolamento delle caratteristiche contemporanee dello spettacolo e, già a partire dal suo titolo, ha scelto di non ripetere le forme già date e di scommettere sull’innovazione.

A partire da questa istanza: come immaginare una nuova strutturazione dello spazio-tempo dell’evento fondato su criteri altri rispetto alla spettacolarizzazione neoliberale, alla famosa società dello spettacolo?

Più precisamente, è possibile pensare un evento attorno alle parole d’ordine della cooperazione, di un’economia che è sharing economy, del fare rete e dell’imperativo di ridurre al massimo i gradi di separazione tra pubblico e attori dell’evento?

In questa riflessione pratica, le strategie per immaginare una nuova forma da dare all’evento dovrà confrontarsi anche con il tessuto sociale della città di Milano, dove Bellissima avrà luogo: Milano e i suoi eventi, Milano e il suo “modello” economico e culturale, Milano, forse, come evento essa stessa.

Da questo confronto potranno emergere spunti critici per pensare l’alternativa, ma anche linee di tendenza innovative da seguire. 

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